Quello di Citroën con l’Italia è un legame forte, che affonda le sue radici negli anni venti dello scorso secolo quando, André Citroën, il fondatore della Marca decide di creare una sua sede italiana: acquista dei terreni in quella che all’epoca era la periferia di Milano, al Portello, da un altro costruttore di automobili, Nicola Romeo e nell’ottobre del 1924 nasce la S.A.I.A.C. (Società Anonima Italiana Automobili Citroën), negli anni la sede è stata destinata a varie funzioni dall’assemblaggio delle vetture, alla costruzione, alla vendita, fino a diventare filiale commerciale. Ma non solo, moltissimi sono gli italiani che hanno incrociato il loro destino con quello di Citroën: Iacopozzi, Bertoni, Becchia… e perfino Santa Rosalia! All’epoca la velocità, l’inventiva, la potenza industriale erano concetti esaltanti, il movimento futurista entrava nella sua seconda fase, le automobili, sempre più lontane dal concetto di “carrozze senza cavalli”, erano impiegate in gare di velocità, resistenza, durata, dall’esito spesso tragico. André Citroën seppur precursore dei suoi tempi, non amava quel tipo di exploit, le sue erano auto per famiglie e lavoratori: sicure, affidabili, comode, pratiche, non dei bolidi lanciati a velocità folle da incauti guidatori. Aveva ideato le “Carovane Citroën” con cui portava i suoi nuovi modelli nelle piazze dei paesi per far toccare con mano la loro robustezza ed affidabilità, aveva attraversato il deserto del Sahara con le B2 semicingolate, si preparava ad arrivare fino in Cina (con C4 e C6) proprio per dimostrare la proverbiale sicurezza delle sue automobili e tutto questo non certo ai 150 all’ora! Fu Rosalie, a fargli cambiare, in parte, idea. Parigi, 1931, la Yacco, una nota azienda che produce oli e lubrificanti decide di farsi pubblicità testando il suo nuovo olio su vetture di serie e la scelta cade proprio sulla Citroën, una C6 F, appositamente allestita con carrozzeria in alluminio profilato concepita da César Marchand meccanico esperto nella messa a punto e pilota formatosi nelle file della Voisin. In settembre la vettura è pronta e viene battezzata “Rosalie” proprio in onore di Santa Rosalia che si festeggia in quel periodo. 

Sotto l’occhio vigile dei Commissari dell’Associazione Internazionale dei Club dell’Automobile, dal 22 ottobre al 1° novembre di quell’anno Rosalie percorre, sulla pista del Circuito di Montlhéry, 25.000 chilometri battendo 14 record internazionali. Entusiasta del risultato, Marchand acquista un’altra Citroën, una C6 G e la equipaggia della stessa carrozzeria profilata della C6 F, ribattezzandola Rosalie II. Percorrerà la pista di Montlhéry per centomila chilometri, senza mai fermarsi, dal 5 marzo al 14 aprile 1932, ad una media di 108 km orari, conquistando 60 record internazionali e 30 record mondiali nella categoria 2 – 3 litri. André Citroën, seppur reticente all’idea di cimentarsi in competizioni, non può ignorare i successi conquistati dalle sue C6, che non portano più il suo nome! Si propone quindi di festeggiare i centomila chilometri della Rosalie II con un grande banchetto sulla pista dove lui stesso sventola la bandiera a scacchi per fermare l’auto dei record! Al termine dell’evento, sarà proprio André Citroën a chiedere di far partire nuovamente la vettura che percorrerà altri trentaquattromila chilometri prima di fermarsi definitivamente il 28 aprile 1932 per la rottura di un pignone. André Citroën, con un coup de théâtre metterà in palio un milione di franchi per la casa automobilistica che riuscirà a battere i record della “sua” Rosalie II entro il primo ottobre del 1932. Nessuno vincerà quel premio. “Rosalie” diviene di fatto non il nome di un unico modello Citroën, ma di più modelli Citroën (di serie) che – dotati di una speciale carrozzeria – sono destinati a battere ogni record.